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Il presente progetto è finanziato con il sostegno della Commissione europea. L'autore è il solo responsabile di questa pubblicazione (comunicazione) e la Commissione declina ogni responsabilità sull'uso che potrà essere fatto delle informazioni in essa contenute.

Acqua

22/12/2021

La collaborazione tra ANBI, FIAB, CIREM e Dipartimento Architettura e Design - Politecnico di Torino per la stesura delle linee guida per una “Legge nazionale sul recupero a fini ciclabili delle vie d’acqua” nasce dalla volontà di offrire nuove opportunità per lo sviluppo della mobilità ciclistica ed in particolar modo di quella dedicata alle attività ricreative e turistiche, anche in applicazione di quanto previsto dalla legislazione nazionale in vigore.

Secondo quanto previsto dalla legge n.2/2018, tra i criteri di individuazione dei tracciati afferenti a ciclovie di interesse nazionale vi è quello del recupero di infrastrutture esistenti e suscettibili di essere riconvertite alla mobilità ciclistica. Tra queste sono ricomprese anche “le strade arginali di fiumi, torrenti, laghi e canali”[1].

Considerato che nel territorio italiano si contano circa 200.000 chilometri di infrastrutture realizzate lungo canali irrigui e di bonifica, gestiti dai Consorzi di Bonifica, si è preso coscienza della necessità di redigere alcuni indirizzi per una futura legificazione in materia. Le linee guida, da un lato, raccolgono e analizzano le problematiche riscontrate a livello nazionale nell’ambito della tematica della riconversione e quindi dell’utilizzo promiscuo di tali infrastrutture e, dall’altro, esemplificano e pongono le basi per l’individuazione delle principali soluzioni progettuali e di gestione che renderebbero possibile l’utilizzo di tale rete anche a fini turistico-ricreativi.

Una rete di questo tipo, diffusa a livello territoriale e a sostegno dello sviluppo della mobilità ciclistica e cicloturistica, rappresenta una nuova occasione “speciale” per pianificare e strutturare il territorio rurale specie quello più fragile e marginalizzato, in quanto a forte caratterizzazione storica ed ecologica e quindi in grado di garantire la tutela e la valorizzazione degli aspetti paesaggistico-ambientali e storico-culturali delle emergenze ivi presenti. La connettività e l’integrazione spaziale e funzionale che questa rete è in grado di offrire consente di garantire da un lato la ricostituzione di legami e relazioni passate tra insediamenti e paesaggi oggi dimenticati e dall’altro di poterne fruire con i tempi e i modi che solo l’andare in bicicletta consente di assaporare. In questa prospettiva, il disegno di una rete di ciclovie lungo i canali e gli argini ha il ruolo di riassegnare un valore alle caratteristiche del paesaggio ed alle stesse opere infrastrutturali che si costeggiano e che determinano le potenzialità e l’attrattività ludico-ricreativa di un luogo.

La presenza di alcune peculiarità proprie di queste infrastrutture che nascondono ancora un fascino antico di una vita passata, di storie, di opere di ingegneria, di lavori e di genti che hanno bisogno di essere recuperate in un circuito di valorizzazione ecologica, ha portato all’impostazione di un processo di riconversione di questa rete al servizio della mobilità ciclistica, promuovendola come un’infrastruttura a basso impatto ambientale[2] attraverso cui rinnovare vecchie e tessere nuove relazioni e legami, per promuovere una strategia di valorizzazione duratura in grado di coinvolgere l’intera penisola.

I vantaggi nella riconversione delle infrastrutture lungo canali e argini sono molteplici: oltre al già citato recupero del nastro infrastrutturale che offre la possibilità di minimizzare i costi e gli impatti, limitare il consumo di suolo e valorizzare le risorse esistenti[3], tale utilizzo riveste un ruolo strategico anche da un punto di vista attrattivo e turistico-culturale. Inoltre, pianificare una ciclovia di questo tipo significa offrire un’infrastruttura comoda in quanto generalmente realizzate in territori prevalentemente pianeggianti, sicura in quanto l’accessibilità risulta limitata ai soli mezzi autorizzati ai lavori di manutenzione dei canali, attrattiva in quanto narranti paesaggi d’acqua prevalentemente rurali e agricoli.

Concludendo, si può affermare che includere infrastrutture di questo tipo nella pianificazione di reti dedicate alla mobilità ciclistica consente di costruire le condizioni per lo sviluppo di nuove forme di turismo lento e sostenibile, offrendo nuove opportunità per la valorizzazione dei territori anche attraverso le ricadute economiche dirette e indirette sulle comunità coinvolte nel processo. In questo contesto, la necessità di una normativa unitaria e condivisa di livello nazionale dedicata al recupero delle infrastrutture e delle opere infrastrutturali ed architettoniche realizzate lungo gli argini e i canali irrigui e di bonifica risulta quindi indifferibile dalla pianificazione di reti ciclabili e cicloturistiche che si collocano all’interno del panorama nazionale e internazionale.

 

 

Il CIREM – Centro Interuniversitario di Ricerche Economiche e Mobilità – è stato costituito nel 2000 con il compito di approfondire dal lato scientifico e applicativo le problematiche connesse allo sviluppo dei sistemi regionali attraverso l’utilizzo di metodologie e strumenti di ricerca che privilegino l’integrazione di conoscenze economiche e sociali con quelle territoriali, trasportistiche e ambientali. Attualmente aderiscono al CIREM 41 tra professori e ricercatori delle Università di Cagliari e Sassari.



[1] Art.4, comma 2, lettera g) della Legge n.2/2018 “Disposizioni per lo sviluppo della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica".

[2] Regione Autonoma della Sardegna, PSR 2014-2019.

[3] Di Cesare, E., Scappini, B., Zucca, V. & Meloni, I. (2019). La mobilità ciclistica come fattore strategico di sviluppo sostenibile e accessibilità regionale: il caso della Sardegna. In A. Marata & R. Galdini (a cura di), DIVERSEcity (pp. 85-94). Roma: CNAPP. ISBN: 978-88-941296-4-9.


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